Il 1866 è stato per l’Italia un anno cruciale, segnato da conflitti e grandi cambiamenti. La penisola era solo parzialmente unificata e l’appena nato Regno d'Italia pur di compierla s'impegnava in una nuova guerra, che passerà alla storia come terza guerra d'indipendenza. Si stava anche realizzando la modernizzazione a tappe forzate delle vie di comunicazione, dell’istruzione e del commercio, che richiedeva un impegno oneroso dello Stato come dell’intera società. Firenze era da appena un anno la nuova capitale del Regno, in attesa che Roma fosse “liberata”, e la sua urbanistica veniva sconvolta da grandi lavori di ammodernamento. C’erano già i primi segni della rivoluzione infrastrutturale, così che Vittorio Emanuele II era giunto nella nuova capitale in treno, grazie alla nuova Via Porrettana che era stata la prima ferrovia del Regno d’Italia ad aver valicato l'Appennino, unendo Bologna a Pistoia. Sempre a Firenze il 14 maggio 1865 era stata inaugurata in Piazza Santa Croce la statua di Dante, eroe culturale del Risorgimento, in occasione dei solenni festeggiamenti per il 600° anniversario della sua nascita.
Stranamente nessun festeggiamento era avvenuto di là dall'Appennino, all’ombra del monte Catria, nel monastero di Fonte Avellana, dove da alcuni secoli Dante veniva venerato e una lunga tradizione riteneva che nel cenobio avesse trovato rifugio e vi avesse scritto alcuni canti della Divina Commedia. L'eremo e la montagna che lo ospita erano stati resi immortali dalle parole che S. Pier Damiani, nel cielo dei Contemplativi, il settimo del Paradiso, aveva rivolto a Dante:
« Tra duo liti d’Italia surgon sassi,
E non molto distanti alla tua patria,
Tanto che i tuoni assai suonan più bassi:
E fanno un gibbo che si chiama Catria,
Di sotto al quale è consecrato un ermo,
Che suol esser disposto a sola làtria. » (Paradiso XXI, 106-111)
Il 1866 è stato per il monastero di Fonte Avellana l'annus horribilis, il peggiore della sua vicenda plurisecolare. L’eremo era stato fondato intorno all’anno mille, aveva raggiunto l’apice di fama spirituale e ricchezza materiale tra XII e XIII secolo. Il monastero, divenuto l’ente religioso più ricco di Umbria e Marche, eppure già con evidenti segni di crisi spirituale all’epoca di Dante, venne dapprima assegnato agli Abati Commendatari nominati dalla Santa Sede; poi dopo la soppressione della congregazione avellanita e lo smembramento dei suoi beni alla fine del cinquecento, iniziò un lento ma inesorabile declino. Tuttavia, nella seconda metà del XIX secolo Fonte Avellana era ancora abitata dai monaci camaldolesi che gestivano i terreni circostanti, ed era ambita meta di pellegrinaggio da parte delle vicine popolazioni. In effetti dopo l’unità d’Italia su Fonte Avellana, come su tutti i monasteri camaldolesi e gli enti religiosi in generale, si stava addensando una gravissima tempesta. In quegli anni lo Stato italiano stava elaborando ulteriori soppressioni di enti religiosi e i conseguenti incameramenti dei loro beni. Tra i Camaldolesi di Fonte Avellana a temere per il proprio destino c'era anche un monaco quarantenne, Padre Raffaele Piccinini. Artemio Piccinini era nato ad Offida (AP) il 27 maggio 1826 e all'età di 18 anni era entrato tra i monaci di Fonte Avellana, prendendo quindi il nome di Raffaele. Piccinini conosceva bene le vicende del monastero e sicuramente aveva trovato la sua condizione assai simile a quella di un suo confratello vissuto qualche decennio prima: l'abate Albertino Bellenghi (1757-1839), figura di primissimo piano nelle vicende della Congregazione camaldolese, ma anche personalità eclettica di intellettuale a tutto tondo, i cui interessi spaziavano dalla filosofia alla geologia, dalla teologia alla botanica. Nel 1810 il napoleonico Regno d'Italia aveva decretato la soppressione degli enti religiosi, così che Bellenghi, allora abate di Fonte Avellana, e i suoi monaci temevano di essere scacciati dal monastero. Ma proprio a Fonte Avellana l’abate si era dedicato alle ricerche sulle tinte naturali, aveva allestito un laboratorio e vi aveva ospitato ricercatori e autorità. L'anno precedente, nel 1809, aveva accolto il sig. Giuseppe Gautieri Ispettore Generale de’ Boschi del Regno d’Italia. Nel 1811 aveva ospitato i dottori Bodei e Brignoli che stavano conducendo un'indagine sulle produzioni naturali del Dipartimento del Metauro. Infine quella attività di ricerca e le doti diplomatiche di Bellenghi avevano evitato che Fonte Avellana subisse la dispersione dei monaci e l'incameramento dei beni, sorte che invece toccò a numerose case religiose e a famosi monasteri.
A distanza di circa cinquant'anni la situazione non era molto diversa, il Catria era ancora una montagna isolata e tutto sommato selvaggia, raggiunta solo da una viabilità medievale. Il monastero dell'Avellana era ancora al centro degli appetiti dei nuovi regnanti. Nel 1861 il nascente Regno d'Italia aveva emanato un'altra legge di soppressione degli ordini religiosi, alla quale il monastero poté sottrarsi grazie alla memoria del soggiorno di Dante, «al culto che vi fu sempre conservato» e allo studio e all'ospitalità dei suoi monaci. Ma la questione era solo rimandata. Padre Raffaele Piccinini si era dedicato anch’egli all’esplorazione dei dintorni dell’Avellana e all’indagine naturale, come Bellenghi aveva allacciato relazioni e ospitato diverse personalità del mondo scientifico, in particolare la visita di Alessandro Spada e Antonio Orsini fu l’episodio fondamentale per la sua formazione, tanto che li definì «miei primi e soli maestri» che diedero il via a «12 anni di studi ostinati e d'instancabili ricerche». Li accompagnò tra agosto e settembre del 1852 in diverse località del Catria, dove raccolsero «preziosi esemplari che sono andati ad arricchire il Museo paleontologico di Pisa, e la collezione, in Ascoli, del sig. Orsini» e dove effettuarono diversi rilevamenti, che furono poi pubblicati in un lavoro pionieristico sulla geologia dell’Italia Centrale. Nel 1865 la scoperta del ricchissimo giacimento di fossili di Rave Cupa e la corrispondenza con il geologo Giuseppe Meneghini avevano promosso l’arrivo di un giovane professore dell’Università di Monaco, Karl Alfred Zittel (1839-1904), titolare della cattedra di Paleontologia. Questi nel 1868 esplorò le montagne dell’Appennino umbro-marchigiano, in particolare la gola del Furlo, il monte Nerone e il Catria. Qui la sua guida fu appunto Piccinini. I risultati di queste esplorazioni furono pubblicati da Zittel in un lavoro cruciale per gli studi della geologia dell’Appennino centrale.
Non solo la geologia ma anche la botanica era al centro degli interessi e delle esplorazioni di Padre Raffaele, che scriverà: « ... mi diedi a tutt'uomo a preparare e spedire fasci di erbari a chiunque me ne avesse fatta richiesta».
Lunedì 11 giugno 1866, mentre alla Camera dei Deputati proseguiva la discussione del progetto di legge per la soppressione delle corporazioni religiose, padre Raffaele si avviava di buon mattino per i sentieri del Catria, il periodo era quello giusto per cogliere la vegetazione nel pieno del suo rigoglio, soprattutto quella delle quote più elevate. Portava con sé il suo vascolo che a fine escursione avrebbe contenuto un cospicuo numero di campioni. Un breve resoconto di quella giornata Piccinini l’inviò ad Urbino, all’amico Alessandro Serpieri (1823-1885). Questi era un altro religioso-scienziato, padre Scolopio, insegnante, fondatore, nel 1850, dell’Osservatorio meteorologico di Urbino. Nel 1866 Serpieri aveva iniziato la pubblicazione del Bullettino Meteorologico di Urbino, rivista che spaziava in diversi campi delle scienze naturali. Per quanto riguarda la botanica già il primo fascicolo conteneva le Osservazioni sull'epoca della fioritura di alcune piante, a Urbino e nei suoi dintorni, a firma dello stesso Serpieri. Gli “appunti” dell'erborizzazione di quel lunedì 11 giugno trovarono così posto nelle pagine di questa rivista, scriveva Serpieri: «io non posso resistere al piacere di darne conto nel mio Bullettino, perché so di adornarlo di una memoria preziosa che grandemente interessa la Meteorologia e la Botanica». Il catalogo delle piante trovate in fiore da Piccinini in quel giorno è costituito da due nudi elenchi di nomi scientifici, per un totale di 370 entità. Il primo è formato da 251 piante trovate al di sotto dei 1000 metri di altitudine, il secondo da 119 piante trovate al di sopra di quell'«elevazione». Per alcune di esse, 41 per la precisione, viene indicato che non erano «ancora in pieno sviluppo fiorale», per altre 82 piante viene specificato che la fioritura era «già inoltrata od anche passata», e infine per 16 di esse che vegetavano «in luogo ombroso e fresco».
Certamente la giornata era stata particolarmente proficua e, visto il numero delle piante elencate, la maggior parte fu semplicemente annotata e probabilmente solo una piccola parte raccolta ed essiccata. Il catalogo così prodotto rappresenta all'incirca un quarto della flora dell'intero massiccio, ma ha soprattutto un valore storico in quanto costituisce il primo abbozzo di una flora del Catria. Fino ad allora era stato pubblicato, nel già citato lavoro di Bodei e Brignoli del 1813, un «elenco delle piante spontanee osservate finora nel Dipartimento del Metauro», quindi una “flora”, costituita da poco meno di un migliaio di entità, di un'area molto ampia compresa tra Ancona, Gubbio e Pesaro. Qualche decennio dopo, 28 piante del Catria erano state incluse nella Flora Italica di Bertoloni, dunque poco più di un cenno alla ricchezza floristica della Montagna di Piccinini.
La lista di Piccinini, che potremmo definire la prima “checklist” della flora del Catria, aveva probabilmente anche un'altra funzione. Padre Raffaele in quel periodo viveva certo in apprensione, non solo il 20 giugno era stata dichiarata guerra all'Austria e il 7 luglio era stata approvata la legge di soppressione degli enti religiosi, ma sicuramente “fremeva” anche per un famoso botanico che stava per arrivare all'Avellana, così che l'escursione di metà giugno e l'elenco di piante erano propedeutici a quella imminente visita.
L'allora cinquantenne Filippo Parlatore, in compagnia di Angelo Bucci addetto al Giardino Botanico, la mattina del 23 luglio era partito da Firenze alla volta del Catria, «dove mi spingevano il desiderio di conoscere da me la ricca flora di quel monte e le premure del Padre Raffaello [sic] Piccinini che mi aveva favorite molte piante secche di quei luoghi». Il monte Catria dista poco più di cento chilometri da Firenze, ma con la viabilità e i mezzi di allora raggiungerlo non era proprio agevole: l'illustre botanico viaggiò in treno, sulla ferrovia inaugurata da pochi mesi, passando per Perugia e Foligno, fino alla stazione di Fossato di Vico. La mattina del giorno seguente era poi giunto in carrozza a Scheggia. Qui per un malinteso non trovò nessuno ad accoglierlo e nell'attesa dell'arrivo dei «conduttori», visto che la strada per il monastero si riduceva a poco più di una mulattiera e una guida diventava d'obbligo, si trattenne a pranzo col medico condotto dott. Camillo Mangioli e visitò la «scuola di fanciulle» del paese. Raggiungere Fonte Avellana allora richiedeva un discreto impegno fisico, ricorda Parlatore nella sua autobiografia: «Scheggia è lontana circa dieci miglia da Avellana ov’è il convento situato sul Monte Catria. Per diminuire la fatica della strada in gran parte alpestre e cattiva io potei avere una somarina, sulla quale mi riposava di quando in quando in quel viaggio fatto in gran parte a piedi per raccoglierne le piante». Parlatore lungo quel cammino si attardava dunque anche per erborizzare, infatti tra Fossato e Scheggia aveva raccolto il Tordylium maximum, vicino a Scheggia Ferulago campestris (sub Ferula Ferulago) e Buxus sempervirens, specie, quest'ultima, rara e poco diffusa allo stato spontaneo nelle Marche, ma che in questo tratto della valle del Sentino è piuttosto abbondante.
Attraverso la via del Corno di Catria e il passo di Nocria, in tre ore e mezza raggiunse infine Fonte Avellana: «Ivi fui accolto dal Padre Piccinini e da tutti quei buoni padri e in ogni modo festeggiato per tutti quei giorni che passai in mezzo a loro». Del soggiorno di quattro giorni di Parlatore a Fonte Avellana e delle escursioni effettuate con la guida di Piccinini, non abbiamo che sommarie notizie: «Andai pure molto intorno per quei boschi e per quelle rupi, raccogliendo e studiando le piante rare e peregrine per quel monte, le quali accennano ad una flora che di là si estende agli Appennini degli Abruzzi e talvolta ancora sino all'Oriente.». Conosciamo d'altronde con certezza le piante provenienti dal Catria inserite successivamente nella Flora di Parlatore: si tratta di 189 specie, 19 nei volumi curati da Parlatore stesso, le restanti 170 nei volumi curati da Caruel. Evidentemente la parte preponderante delle piante è frutto del lavoro di Piccinini, ma per 41 di esse c'è la specifica indicazione «sul Catria dove l'ho raccolta», oppure più sinteticamente «Parl.!», e inoltre, distinguendo tra il suo contributo personale e quello di Padre Raffaele: «dove l'ho raccolta e donde pure l'ho ricevuta dal Prof. Piccinini», come nel caso di Drypis spinosa. Riscontri delle erborizzazioni di quel luglio del 1866 si hanno inoltre nell'Erbario di Firenze, è il caso di un campione la cui etichetta più antica riporta semplicemente «Campanula - Da Piccinini - Monte Catria - Lug. 1866». Si tratta del Tipo su cui Podlech quasi 100 anni dopo avrebbe descritto una nuova sottospecie: la Campanula marchesettii Witasek ssp. apennina Podlech. Podlech tra i campioni esaminati cita: «Mt. Catria, 1000 m, 25.7.1866, Parlatore (FI); dto. Piccinini (FI, Holotypus); dto. prati della Farfanella, 1864, Piccinini (FI, M)». Dunque nel secondo giorno di permanenza sul Catria Parlatore aveva raccolto queste campanule, citate poi nella sua Flora a proposito di Campanula rotundifolia: «Monte Catria a 1000 metri (Parl.!, Piccinini!) ». Nelle stesse esplorazioni, dal 24 al 27 luglio, Parlatore aveva raccolto altre campanule, che ancora Podlech esaminerà nell'Erbario di Firenze, determinandole come appartenenti alla nuova specie che stava descrivendo: Campanula tanfanii Podlech. In più l'accurata descrizione di alcune specie nella Flora di Parlatore si basa su piante trovate sul Catria da Piccinini o dallo stesso autore, evidentemente nell’estate del 1866, come ad esempio: Marrubium incanum (sub M. candidissimum), Melissa officinalis ssp. altissima, Digitalis ferruginea, Edraianthus graminifolius (sub Wahlembergia graminifolia), Campanula latifolia, Hesperis laciniata e la già citata Campanula tanfanii (sub C. macrorrhiza var. Delta angustiflora).
Visto che sappiamo poco della biografia di Piccinini, grazie a questo incontro è possibile saperne qualcosa di più, in particolare dagli archivi del botanico fiorentino proviene l'unica foto di Padre Raffaele in quegli anni: immortalato ancora giovane, vestito con il saio bianco dei camaldolesi, in posa con un cannocchiale in mano. Così lo ricorderà Parlatore: «Egli era un giovine grasso, non bello, facile a riscaldarsi ma di animo franco ed onesto, più facile anche a ravvedersi delle sue sfuriate e a chiederne perdono». Il 28 luglio Parlatore aveva infine lasciato «con molto dispiacere» il monastero, accompagnato questa volta da Piccinini stesso e da due monaci fino a Scheggia. Per il viaggio di ritorno in treno cambiò però itinerario, passando per Ancona, nel cui porto era ricoverata la malconcia flotta italiana reduce dalla battaglia di Lissa, e Bologna.
Nel dicembre successivo la famiglia monastica aveva abbandonato Fonte Avellana. Lo Stato ne smembrò i beni e li mise sul mercato: i boschi furono venduti al Conte Vincenzo Cresci di Ancona, che li ridusse di lì a poco in legna e carbone, il monastero venne acquistato dal comune di Serra S. Abbondio e la biblioteca ceduta al comune di Pergola. Anche Piccinini si trasferì a Pergola, dove ottenne l'incarico di professore di matematica e scienze presso l’Istituto Tecnico e dove restò fino alla morte, avvenuta il 16 dicembre 1883.
La passione per le scienze naturali e l'amore per la sua Montagna non vennero però meno: l'anno successivo inaugurò la «Stazione Botanica-geologica del M. Catria gabinetto ... fondato fin dal gennaro del 1867 in questa città di Pergola, situata poco lungi dalle falde del Catria, e dotato di duemila lire annue dalla munificenza di questo Onorevolissimo Municipio Pergolese». Così pure proseguì la sua attività di guida: nel 1868 accompagnò Zittel, nella sua memorabile esplorazione, e nel 1875 l’amico Serpieri e un gruppo di liceali di Urbino in «gita d’istruzione». Si impegnò anche nell'attività di divulgatore pubblicando tra il 1869 e il 1870, la guida Studi geologici sull'Appennino centrale, dove riversò le sua profonda conoscenza del Catria e i risultati delle ricerche di geologia e di botanica: lavoro per molti aspetti moderno e anche documento prezioso per la storia del territorio del Catria.
Testo e immagini corrispondono sostanzialmente all’articolo pubblicato in: Barbadoro 2016 (Acta Plantarum Notes 4, 2016, pp. 75-88)
Approfondimenti e riferimenti bibliografici: ; Barbadoro D., Barbadoro F. 2008; Bodei, Brignoli; Ferretti 2002; Gibelli; Marra; Parlatore, Caruel; Parlatore, Visconti; Piccinini; Podlech 1965; Podlech 1970; Serpieri 1866; Somigli .
Le immagini di Parlatore e Piccinini sono pubblicate: “per concessione della Biblioteca dell’Orto Botanico dell’Università degli Studi di Padova”.
Le immagini dei campioni provenienti dall’Erbario Centrale di Firenze di Campanula marchesettii ssp. apennina sono pubblicate: “©Herbarium FI, reproduced with permission”
Mappe:
A distanza di 150 anni, le vicende di quel 1866 dei due botanici intorno Fonte Avellana sono avvolte comunque da qualche incertezza, un po' per la sinteticità e la scarsità delle fonti e a volte anche per qualche contraddizione. Così il soggiorno di Parlatore a Fonte Avellana secondo Piccinini sarebbe avvenuto in agosto e non un mese prima come testimoniato da Parlatore. Come pure sappiamo veramente poco dell'itinerario dell'erborizzazione dell'11 giugno e delle escursioni di Parlatore.
Qualcosa però si può chiarire grazie a qualche indizio sparso nei lavori dei due personaggi e anche alla testimonianza "singolare" delle piante da essi trovate.
Per quanto riguarda la data della visita di Parlatore è quasi impossibile che sia avvenuta in agosto, come scrive Piccinini, perché la biografia del botanico fiorentino è molto circostanziata, le date dei campioni conservati a Firenze sono ancora più esplicite, ma anche perché in agosto la situazione climatica è tale da rendere la vegetazione del Catria, anche alle alte quote, scarsamente produttiva per un'erborizzazione.
A proposito delle escursioni dei due botanici, conosciamo abbastanza bene la topografia del Catria di allora, sia per la cartografia ufficiale, sia soprattutto per le indicazioni della "guida" scritta da Piccinini, il quale nella localizzazione dei siti di valore geologico o botanico spingeva il dettaglio topografico della descrizione «sino alla polvere».
Tra le escursioni di Parlatore, il tragitto tra Scheggia e Fonte Avellana, per Isola Fossara e il Passo di Nocria, è quello più facile da ricostruire, perché era il percorso obbligato per arrivare e tornare dal monastero. Il primo tratto di questa mulattiera, la cosiddetta Strada o Via del Corno, seguiva il corso del torrente Sentino e per valicare la dorsale principale saliva sotto il Corno di Catria, fino a 650 metri di quota. Da questa zona Parlatore aveva riportato diverse piante: Helianthemum salicifolium, H. canum, Eryngium amethystinum e Campanula tanfanii, pianta questa che fu raccolta proprio durante il viaggio d'andata, come testimonia il campione, osservato e citato da Podlech, che riporta la data del 24 luglio 1866.
Per le altre escursioni di Parlatore abbiamo solo la certezza di qualche località raggiunta, alcune di queste sono situate lungo i due sentieri che allora salivano da Fonte Avellana verso le aree più elevate del Catria. La via maestra era allora la cosiddetta strada delle Scalette, lungo questa mulattiera Parlatore ha trovato diverse piante, in particolare presso la Grotta di S. Pier Damiani (che Parlatore chiama di S. Romualdo!) e la soprastante Cava aveva raccolto: Geranium pyrenaicum, Drypis spinosa, Anthriscus sylvestris. Più in alto, superata la località accidentata dove la mulattiera si arrampicava sulle testate di roccia simili a naturali gradoni, da cui il nome di Scalette, Piccinini nel rilevare la rigogliosa presenza di «Crathaegus Aria» ricordava: «Parlatore, che pure ha visitate tante contrade di Europa sino alla Lapponia, quando veniva ad erborizzare nel Catria, l'agosto [sic] del 1866, fu colpito da meraviglia nel vedere l'alta statura che raggiungono gli alberi di questa specie nel nostro Appennino». Tra le aree sommitali che la via delle Scalette permette di raggiungere c'è anche Pian d'Ortica e la Rocchetta (1374-1524 m), dove Parlatore e Piccinini hanno trovato: Seseli libanotis, ancora Campanula tanfanii (sub C. macrorrhiza) e Digitalis ferruginea. Così ricordava Piccinini quest'ultima pianta e la località dove cresce «presso la Rocchetta ... localizzata in angusto perimetro cresce spontanea la Digitalis ferruginea dalla densa spiga di fiori ocracei screziati». Ebbene anche oggi, sul Catria questa pianta si rinviene soltanto nella località frequentata 150 anni fa dai due botanici.
Parlatore ha erborizzato anche sull'altro sentiero più impervio, e allora meno frequentato, che dall'Avellana punta dritto alla vetta del Catria, passando sotto la piramide rocciosa di Rocca Baiarda. Proprio qui ricordava d'aver trovato: ancora Eryngium amethystinum, Helianthemum apenninum (sub H. polifolium) e poco più avanti Campanula latifolia: «nel bosco della Farfarella [sic, per Farfanella] fra 1000 e 1100 metri».
Ricostruire il percorso compiuto da Piccinini l'11 giugno 1866 è relativamente più facile, scriveva infatti lui stesso: «Salii il Catria dalla parte nord-est, poi lo percorsi in una direzione sud-est, dopo aver visitate alcune località più importanti della sua china occidentale, quindi feci ritorno al Monastero scendendo pel declivio orientale. — La mia erborizzazione abbraccia una grande estensione della montagna sia dalla parte boreale, sia dalla parte meridionale e orientale». Padre Raffaele evidentemente ha affrontato in salita il ripido sentiero di Rocca Baiarda, mentre per il ritorno è disceso per la via delle Scalette, almeno per un tratto. Tuttavia da quelle sintetiche parole è quasi impossibile stabilire le località sommitali raggiunte. Qualche indizio però è possibile trovarlo incrociando il Catalogo dell'erborizzazione di quel giorno con le precise informazioni contenute nella sua "guida". Infatti nei suoi «Studi geologici sull'Appennino centrale» Piccinini cita, descrive e spesso localizza 89 piante vascolari. Di queste 59 sono condivise con l'elenco del giro dell'11 giugno, di alcune di esse Piccinini rileva la rarità e perfino l'unicità e limitatezza della stazione in cui si trovano. Di tali piante rare e localizzate a Rocca Baiarda c'è il gruppo più numeroso: Primula auricula, Hieracium tomentosum (sub H. lanatum), Silene saxifraga. Sulla «Costa degli Spicchi» (ossia la parte più meridionale delle Balze degli Spicchi, 1524-1400 m) Piccinini scrive: «il suolo è tappezzato dai gialli corimbetti dell'Alyssum montanum che non alligna in alcun altra località del nostro monte». Scendendo più in basso e ancora più a meridione, presso «Boccatoro» (ora Boccatoio, 1200-1300 m) Padre Raffaele segnala la presenza del non comune Polygonatum verticillatum (sub Convallaria verticillata). Un gruppo di altre piante estremamente localizzate ci riporta sul versante orientale, tra la cima del «Balzone del Passo di Catria», il «Passo della Cerasa» e il fondo della forra dei «Valloni» (nell'attuale cartografia è l'area a Sud-Est della Balza dell'Aquila, 1200-900 m), dove Piccinini segnalava un gruppo di piante rare e localizzate: Thalictrum minus, Hesperis matronalis e Ribes alpinum. Della prima pianta scriveva: «Risalendo il declivio erboso del fianco settentrionale, fortemente inclinato, del Balzone [del Passo di Catria], alla metà circa dell'erto poggio sorge spontaneo dal suolo il Thalictrum minus, quivi localizzato in angustissima area, ché indarno questa pianta si ricercherebbe altrove per quanto si estende la regione del nostro Catria»: seguendo alla lettera le indicazioni di Padre Raffaele, a 150 anni di distanza, nello stesso impervio punto da lui indicato troviamo ancora Thalictrum minus, che effettivamente non è assolutamente facile da trovare anche se, ma lo sappiamo ora, tale stazione non è l'unica del Catria. Queste piante localizzate e tuttora rinvenibili sono per noi come altrettanti “waypoint”, che tracciano il probabile percorso di quel lontano 11 giugno: Padre Raffaele esplorata con cura l'area di Rocca Baiarda si diresse verso le Balze degli Spicchi, probabilmente tagliando fuori la cima vera e propria del Catria, scese poi verso il Boccatoio, per risalire poi a Pian d'Ortica. In discesa, di ritorno all'Avellana, evitò però le Scalette, per scendere dal Balzone del Passo di Catria dentro la forra della Balza dell'Aquila. Chiaramente questa è una ricostruzione probabile, i cui unici testimoni sono delle piante, che certo ancora possiamo trovare e tutto sommato non sono poi così mute e inutili come le briciole della fiaba...
Ma è ora di lasciare biblioteche e archivi, è il momento di visitare Fonte Avellana e di salire sul Monte Catria. Una volta apprezzate la maestosità del monastero e la bellezza della natura, magari su uno dei sentieri ci troveremo, come in una vertigine temporale che annulla in un attimo 150 anni, ad ammirare un fiore che cresce su una parete di roccia in compagnia di due vecchi amici.
[marzo 2016]
Parlatore e Piccinini al Monte Catria.
Sulle tracce di due botanici a 150 anni dalla loro erborizzazione (1866 - 2016).