FORESTE E PASCOLI UN PANORAMA ANTICO

Un Prato de’ Fiori è disegnato, sul finire del XVIII secolo, in una delle prime viste moderne del Catria. A volo d’uccello, da Est, il Catria appare già come lo vediamo oggi: con le sue praterie fiorite, le cime pulite che sovrastano pascoli e foreste, qualche fonte, un rifugio e il monastero di Fonte Avellana. Il paesaggio che oggi tanto ammiriamo, il verde cupo delle selve e il verde brillante variegato di colori dei pascoli, non era sostanzialmente diverso 3-4 secoli fa. Sicuramente nel basso medioevo pecore, cavalli e mucche pascolavano già alle Cotaline, sotto Monte Acuto, e si abbeveravano a Fonte Luca. E i mastri concari e catinari facevano legna nelle selve del Corvo e di Muccicchiosa, sopra il Cinisco. Legna, pascolo e acqua, le ricchezze del Catria, erano sicuramente apprezzate ai tempi degli eremiti di Romualdo e Pier Damiani. Con certezza si può affermare: quello che oggi osserviamo come un bel paesaggio non è sostanzialmente diverso da quello che guardavano eremiti, pastori e legnaioli medioevali.

Il panorama a foreste e pascoli, che perfino il legislatore moderno intende proteggere e valorizzare, è antico, e frutto del lavoro umano sull’ininterrotto rivestimento boscoso che altrimenti la natura da sola  stenderebbe sulle nostre montagne e valli.

Diversi indizi portano a credere che i primi tagli di quelle foreste primordiali siano avvenuti molto prima del medioevo, non più tardi di tre millenni fa. Così si potrebbe azzardare l’ipotesi che il Catria ci mostra ora un panorama preistorico.

Il MONTE CATRIA E L’UOMO

Nella storia il Catria ha sentito infrangersi, contro i suoi versanti, gli interventi dell’uomo in  tre grandi ondate.

Quella medioevale (IX-XIII sec.), i cui protagonisti furono i signori feudali e i monaci, caratterizzata dagli eremi e dai castelli costruiti sui luoghi più elevati e strategici, ultimi caposaldi della civiltà a ridosso delle selve selvagge delle montagne, abitate dalle sole “fiere”. Fonte Avellana e Frontone ne sono i testimoni più monumentali.

Come risacca, l’età comunale ha visto il ritirasi da quei luoghi delle prime comunità di uomini, per la prima volta libere dalle servitù feudali e autonome nella gestione delle risorse della montagna, che hanno fondato i nuclei dei comuni tuttora presenti ai margini del Catria.

Una nuova ondata, tardo medioevale-moderna (XV-XIX secolo), ha visto nuovi e vecchi signori spingersi di nuovo più in alto sul  monte, con un’espansione agricola, dai caratteri sia tipicamente mezzadrili che più singolari (Università e Comunanze Agrarie), costante e impetuosa. Sono sorte case coloniche in alto sui versanti, si sono abbattuti i boschi per dissodarli e trasformarli in coltivi. Già nel XVI secolo duchi e abati iniziarono a preoccuparsi della sorte delle foreste del Catria.

L’ultima e più recente ondata, iniziata nel secondo dopoguerra, è costituita da una forte antropizzazione dell'area centrale, più schiettamente montana del massiccio, caratterizzata dalla costruzione di un gran numero di strade, di diverse infrastrutture e di rifugi.

Contemporaneamente si è assistito all'abbandono dei settori pedemontani, quelli dei pionieri, monaci e successivamente mezzadri. I cui effetti sono: la  rinaturalizzazione dei coltivi, l’abbandono delle case coloniche e il declino demografico dei piccoli borghi pedemontani.

Sul Monte Catria natura e cultura sembrano avere trovato un equilibrio perfetto.

Eppure la montagna che ora ammiriamo è la sintesi di secoli di trasformazioni, di lavoro e di rispetto. L’equilibrio del Catria non è un fatto acquisito per sempre, ma un’arte che va tramandata. Come quella di governare le foreste senza desertificare, o quella di costruire monasteri e castelli senza scavare voragini nelle rocce, che del Catria sono l’anima.