Nel luglio 2009, un piccolo, ma agguerrito, gruppo di spedizione, dopo una non lunga ricerca, essenzialmente basata sulle indicazioni tratte dai racconti di fonte orale popolare locale, ha finalmente rintracciato, il presunto sito del primitivo eremo benedettino romualdino di “Loco”. Il luogo si distende ad un’altitudine media di circa 900 m s.l.m.,  rivolto a sud e riparato dai venti, specie da quelli freddi, e più intensi, di tramontana, è costituito dal versante meridionale del Monte Cilio (m 1121), a nord e dal crinale congiungente quest’ultimo, attraverso il Monte le Costarelle (m 1152), al Monte della Strega (m 1276), a nord-est, il Poggio Nucrìna (m 813) ad ovest, e la valle del Torrente Artìno, a sud-ovest.

Il sito geografico del primitivo insediamento eremitico è, sostanzialmente, costituito da un promontorio, oggi ampiamente riguadagnato dalla vegetazione, propaggine dal vertice articolato su alcuni piccoli ripiani, il principale dei quali, continuato da un prato-pascolo ad occidente, appare occupato dai resti, esigui, dell’ipotizzato stanziamento religioso. Queste sparute vestigia consistono, semplicemente, nell’allineamento di grosse pietre, appena dirozzate, allineamento, con apparente direzione nord-ovest – sud-est, largo circa un metro, ed identificabile, forse, con il muro di cinta che doveva delimitare e difendere il romitorio stesso. All’interno di quello che rimane di questa spartana cinta muraria, un’area, di forma grossolanamente rettangolare di m 40 per 20 circa, racchiude alcune piccole depressioni del terreno, nelle quali non è difficile immaginare l’esistenza antica d’altrettante stanzette, o celle, eremitiche. Pietre grossolanamente squadrate giacciono, infatti, qua e là, praticamente ovunque per il luogo, dove si rinvengono anche, seppure infrequentemente, frammenti di tegole. Un concio di pietra, più peculiare degli altri, poiché parzialmente arcuato, parrebbe rappresentare, inoltre, quanto resta dell’arco d’un portale o della cornice d’imposta d’una volta o d’archieggiature. Quello che emerge dal terreno dev’essere, comunque, ben poca cosa rispetto a quello che c’era in origine ed a quello che potrebbe esserci ancora, appena poche decine di centimetri sotto alla superficie del terreno, ingombro, ormai, di sedimenti, depositatisi nel corso di quasi un millennio d’abbandono del “loco” religioso.

La folta vegetazione, erbacea, arbustiva ed arborea, particolarmente rigogliosa, ha, inoltre, di certo impedito il vedere meglio quanto ancora affiora alla superficie di quest’arcaico artefatto umano di postulata natura religiosa. Resti di piante, sfuggite ad antiche coltivazioni da parte dei monaci, sembrano non vedersene in giro, se si esclude la presenza di qualche pero, tuttavia di più probabile ceppo selvatico (Pyrus pyraster) che non domestico. I monaci dovevano, però, sottoporre a coltura, cerealicola (farro, orzo, ecc.) od ortofrutticola, alcune delle pianelle che costituiscono il sito ed altre destinarle, invece, al pascolo delle loro greggi. Interessante, in questo senso, risulta la presenza del toponimo “Il Podere”, che indica una vasta area, distesa tra lo stesso presunto eremo di Loco e la sottostante Badia di Sìtria.

Ci vorranno ancora tempo, sopralluoghi e ricerche mirati, ma questa prima esplorazione pare indicare la strada giusta per una grande scoperta d'archeologia sacra medioevale...


(di Euro Puletti)

I testi e le foto “Altare della Badia di Sitria” e “S. Michele Arcangelo” sono di Euro Puletti (Costacciaro _PG)  a cui va un particolare ringraziamento.

La foto “La Badia di Sitria nel 1910” è stata reperita da Euro Puletti.

L’incisione “Abbazia di Sitria” di Carlo Canavari, del 1927, è tratta da: Pagnani 1967.

Riferimenti bibliografici: Damiani VbR;  Pagnani 1967; Puletti 2006.

Mappe:

Secondo quanto possiamo desumere dagli scritti di san Pier Damiano, il primitivo eremo di Santa Maria Assunta di Sìtria venne fondato, da san Romualdo abate, istitutore della congregazione benedettina dei Camaldolesi, nell’alta valle del Torrente Artìno (“Arenti rivo”), affluente del Sentino non lontano da Isola Fossara (comune di Scheggia e Pascelupo, Prov. PG), circa l’anno 1014. Esso doveva essere, in origine, molto semplicemente composto da una costruzione, assai elementare e povera, rappresentata da piccole celle di pietra e legname locali. Manca, però, nelle fonti scritte più antiche, l’indicazione esatta relativa alla localizzazione del primitivo romitorio, Al contrario la  tradizione orale popolare di Isola Fossara di  Scheggia vuole che il romitorio “de san Romaldo” sorgesse in località “Loco”, oltre 400 metri più in alto dell'attuale abbazia e fosse maggiormente dislocato verso nord-est, cioè con favorevole esposizione sudoccidentale. La località “Loco” si trova in Umbria e, con la finitima area boschiva della “Valocaia” (nome che dovrebbe voler dire 'Valle del Loco'), risulta praticamente confinante con il territorio delle Marche, in Provincia di Pesaro e Urbino. La tradizione di Isola Fossara vuole, inoltre, che, una volta abbandonato l’eremo primigenio, i monaci, o i loro lavoranti, facessero rotolare le pietre che lo costituivano giù per i fianchi scoscesi della montagna, o le facessero trasportare, a valle, con asini e muli, per riutilizzarle, poi, in parte almeno, nell’erezione della porzione basale della nuova abbazia. Venendo, ora, al toponimo, “Loco”, si potrebbe ipotizzare che esso derivi dal latino “locus”, ‘luogo’, qui inteso, però, nell'eccezione specifica di ‘luogo religioso’, o meglio, luogo dei monaci eremiti (“locus monacorum eremitarum”).

La posizione geografica di quest’ipotizzato eremo primitivo, che oggi sembra tagliata assolutamente fuori da ogni logica, in realtà doveva, nel Mille, rivestire una certa centralità, specie dal punto di vista viario dei collegamenti transappenninici tra Umbria e Marche, controllando i passaggi, i traffici ed i commerci, di persone e merci, da un versante all’altro dell’Appennino umbro-marchigiano. Situato quasi al crocevia delle direttrici Cagli – Sassoferrato e Gubbio – Pergola, in un’intersezione, dunque, d’influenze spirituali forti, come quella della Diocesi di Nocera Umbra e, temporali, consolidate, come quella del ducato langobardo spoletano, o in via di rapida espansione, quale quella di Gubbio, il “Loco di Sìtria”, dovette rappresentare un posto davvero cruciale. Verso il Mille, in quest’area si estendevano, addirittura, taluni possedimenti fondiari della lontanissima abbazia emiliana, d’origine langobarda, di Nonantola, la cui persistenza e gestione, in un quadro politico-religioso in fase di rapido mutamento e riassetto (con la città di Gubbio, ad esempio, che attrarrà a sé, nel giro d’un paio di secoli, tutti questi territori, da Fonte Avellana alla sua nuova fondazione di Pergola) portarono a non infrequenti liti di giurisdizione con la sempre più famosa e potente abbazia di Santa Croce e Sant’Andrea Apostolo in Fonte Avellana, nata sulle ali dell’esempio, riformatore e rifondativo, del Duca, di possibile origine longobarda, San Romualdo degli Onesti da Ravenna.

(di Euro Puletti)

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